Brani dal Ritiro – 2

Questo testo è composto da un insieme di brani presi dal libro “Officina Alkemica” di Salvatore Brizzi. Ciascun brano è relativo al capitolo citato nel titolo.

ALKIMIA INFERIOR

NIGREDO – OPERA AL NERO

Cominciamo col ribadire che nella nostra Officina Alkemica – la personalità – vogliamo innescare un processo di trasformazione della natura inferiore. Questo si accompagna allo spostamento del nostro centro di consapevolezza dalla mente al Cuore – il centro emozionale superiore.
Per ottenere ciò – nell’ambito dell’Alchimia Inferior – sfruttiamo le  materie prime che sono a nostra disposizione: le emozioni negative della macchina biologica.
In questo stadio iniziale non è ancora possibile lavorare all’interno dell’emozione negativa, perché di norma è troppo difficile essere concentrati e presenti nel bel mezzo di un’arrabbiatura o di una fase depressiva. Ne siamo infatti così coinvolti, al punto di dimenticarci di noi. Il nostro scopo è quindi lavorare su noi stessi non appena ci ricordiamo di farlo, non appena, cioè, ci disidentifichiamo un po’ dalla situazione; il che può succedere a qualche minuto o a qualche ora dall’apice dell’emozione negativa. Sarebbe meglio che la ‘presa di coscienza’ di quanto sta accadendo avvenisse in noi quando la personalità sta ancora fremendo a causa della frustrazione, della paura o della rabbia da poco provate. Appena ce ne ricordiamo, dobbiamo far emergere il «testimone», una parte di noi che riesce a restare parzialmente distaccata da quanto si sta verificando.
La prima fondamentale azione da compiere è questa: cercare di non farci coinvolgere nel turbine dell’immaginazione negativa e assumere invece un atteggiamento di distacco. Dobbiamo sforzarci di guardare dall’esterno – senza restarne invischiati – le scomposte manifestazioni della nostra personalità.

Così, qualunque cosa accada nel tuo interno sistema psicofisico (Athanor) non deve interessare Te, onnipotenza immortale; qualunque ‘aggressività’ da parte del tuo mondo infero lascia che si infranga di fronte all’Impassibilità impersonale, incrollabile e invincibile; qualunque cogitazione sulle miserie del divenire lascia che si spezzi di fronte al Silenzio onnicomprensivo.”
Raphael, La triplice via del Fuoco

In principio il «testimone» è debole e la sua voce fioca. Noi siamo coinvolti quasi per intero nelle manifestazioni adulterate della macchina biologica.
Tuttavia questo «testimone» può divenire in breve tempo molto potente, fino ad assumere il ruolo del ‘padrone di casa’. Lo stadio di coscienza definito con il termine «testimone», o centro di gravità permanente, si colloca infatti a metà strada fra la coscienza della personalità e quella dell’anima.

Infuriarsi, angosciarsi o provare ansia è giusto! In questa prima fase non dobbiamo smettere, né rammaricarci perché non riusciamo a interrompere le nostre manifestazioni negative. Il lavoro consiste proprio nell’assumere, appena ci è possibile, un atteggiamento distaccato nei confronti di quanto sta facendo la personalità, e non nello smettere di essere infuriati.
Cessare di provare l’emozione negativa, in questa prima fase, non è possibile e non ci è utile; risulta invece di grande utilità restare presenti, osservare bene cosa ci succede e ricordarci di mutare il nostro consueto modo di pensare riguardo agli eventi. È un lavoro molto sottile, dove non ci si pongono obbiettivi, ma qualcosa accade… sommessamente e in silenzio.
Ogni volta che ci impediamo di rimanere totalmente coinvolti nella nostra emozione, e riusciamo a tenere sveglia una parte di noi che osserva quanto accade, stiamo producendo dei cambiamenti positivi nella chimica stessa della nostra macchina biologica. Queste modificazioni sono irreversibili e si accumulano con il tempo.

ACCENDERE IL FUOCO

Compiendo questo sforzo di concentrazione contro la meccanicità dell’immaginazione negativa, stiamo lavorando a livello alchemico. La ferma Volontà del «testimone» di percepire il mondo in maniera differente sviluppa attrito contro la volontà dell’apparato psicofisico di continuare a pensare come ha sempre fatto. Questo attrito è un «fuoco» che agisce sulle sostanze presenti nella macchina biologica, per crearne di nuove, che vanno a costruire il ‘corpo dell’anima’.

Grazie all’emergere di un «testimone» distaccato, gli aspetti più grossolani della macchina biologica non vengono più alimentati e vanno in putrefazione (altro termine alchemico). Le vecchie sostanze vengono incenerite, e da queste ceneri nasco[1]no nuove materie. Le materie sottili che emergono da questo processo formano il ‘corpo dell’anima’.

L’anima non è un concetto astratto, ma qualcosa di fisico, sebbene di una fisicità molto sottile e per noi intangibile. Possiamo quindi parlare di ‘corpo dell’anima’ come di un fenomeno perfettamente reale. Compiendo un lavoro alchemico, ci identifichiamo sempre di più con l’anima e allo stesso tempo stiamo costruendo il suo ‘corpo sottile’.

Ricordiamo che è lo sforzo ad alimentare il «fuoco», non il risultato. Non dobbiamo cadere nella trappola di praticare un lavoro su noi stessi, inquadrandolo nei vecchi schemi di pensiero, come se ci stessimo occupando dell’amministrazione di un’azienda o di un campionato di calcio. Qui non è il risultato che ci aspetteremmo noi a produrre gli effetti migliori! L’attrito operato dalla presenza del «testimone» consente al «fuoco» di compiere la sua implacabile opera di trasmutazione, indipendentemente dal fatto che noi percepiamo dei risultati tangibili nella nostra vita quotidiana.

È forse bene rammentare che il sentiero alchemico, al pari di ogni via spirituale, non costituisce per l’essere umano un’attività natura[1]le, bensì un’accelerazione forzata del cammino evolutivo. Noi stia[1]mo accelerando l’evoluzione della specie umana!  Per fare ciò, violiamo un numero consistente di leggi terrestri a cui deve sottostare la macchina biologica: le leggi legate alla sopravvivenza. Gli atomi costituenti la personalità si ribellano a questo lavoro, perché vengono costretti a fare qualcosa che per loro è completa[1]mente innaturale. Non provare paura e sospetto è infatti un comportamento estraneo alla costituzione del nostro apparato psicofisico. Quando ci sforziamo di sentire che il mondo è bello, tutta la macchina biologica resiste, si rifiuta, si difende, perché per lei risulta pericoloso pensare in questa nuova maniera; va contro il suo natura[1]le istinto di sopravvivenza.